L’8 maggio 1989, presso la Corte di Assise di Milano, inizia il processo per l’omicidio di Bruno Caccia. Imputati per aver ideato e organizzato il delitto del procuratore della Repubblica di Torino sono Domenico Belfiore (nato a Gioiosa Ionica il 4 agosto 1952, esponente del clan dei calabresi) e suo cognato Placido Barresi (nato a Messina il 2 dicembre 1952).
Il 16 giugno 1989 la Corte dichiara Domenico Belfiore colpevole dei reati ascritti condannandolo alla pena dell’ergastolo. Placido Barresi viene invece assolto per insufficienza di prove e, per l’effetto, ne viene disposta la scarcerazione. Il movente, o meglio l’obiettivo che le associazioni criminali calabresi volevano conseguire con l’omicidio (a cui si è arrivati soprattutto grazie alla collaborazione del detenuto Francesco Miano, personaggio di spicco, insieme al fratello, della criminalità siciliana presente sul territorio piemontese) era quello di eliminare i magistrati incorruttibili, perché venissero sostituiti con persone disponibili nei loro confronti.
Il 25 maggio 1990 la Prima Corte di assise di appello di Milano conferma la sentenza di prime cure: condanna per Domenico Belfiore, assoluzione per Placido Barresi.
Il 28 febbraio 1992 la Seconda Corte di assise di appello di Milano conferma la sentenza emessa dalla Corte di assise di Milano il 16 giugno 1989 nei confronti di Domenico Belfiore e lo condanna alla pena dell’ergastolo quale mandante dell’omicidio di Bruno Caccia.
Nella motivazione sul movente la Corte, tra l’altro, afferma che le ragioni del delitto vanno ricercate nella specifica attività di Caccia e dei suoi collaboratori, nel suo severo impegno contro la criminalità organizzata, ed il gruppo dei calabresi in particolare, del quale Belfiore era leader, nella minaccia che il lavoro della procura portava al patrimonio del vertice dei calabresi, nell’essere Bruno Caccia antagonista diverso da quelli “ammorbiditi” che Belfiore conosceva ed auspicava, nel rappresentare ostacolo grave, concreto ed incombente all’attività delittuosa di Belfiore e dei suoi sodali.
Il 23 settembre 1992 la Quinta sezione Penale della Cassazione confermerà definitivamente la sentenza di appello emessa il 28 febbraio 1992.
Nella notte tra lunedì 21 e martedì 22 dicembre 2015 a Torino la polizia arresta un uomo di 62 anni di origini calabresi, con precedenti penali, che lavora in una panetteria in piazza Campanella, nella zona ovest della città.
Rocco Schirripa, detto Barca, è accusato essere uno degli uomini che la sera del 26 giugno 1983, in via Sommacampagna, uccise con 14 colpi di pistola l’allora Procuratore della Repubblica Bruno Caccia.
Dopo un annullamento per un vizio di forma – in estrema sintesi, Schirripa era stato già indagato per l’omicidio di Bruno Caccia nel 1997 insieme ad altri e la sua posizione archiviata nel 2001. La nuova iscrizione nel registro degli indagati del 25 novembre 2015, da parte della Procura di Milano, non è stata preceduta da una formale richiesta di riapertura delle indagini – il 17 luglio 2017 la Corte d’assise di Milano ha ritenuto Rocco Schirripa uno degli esecutori dell’omicidio di Bruno Caccia, condannandolo alla pena dell’ergastolo…